Distanziamento fisico e confinamento domestico. Gli effetti del Covid-19 su atteggiamenti ed emozioni in Italia

Di Antonio Tintori.

La pandemia da COVID-19 rappresenta un evento inedito da molteplici punti di vista. Innanzitutto, la sua portata ha coinvolto paesi, culture ed economie anche radicalmente diverse tra loro. Ciò ha aperto a scenari almeno in parte imprevedibili, in termini di reazioni della popolazione. La pandemia ha infatti investito tutti, poveri e ricchi, e persone più o meno istruite e con diversa capacità di discernimento delle informazioni. Questo ha dato luogo a una molteplicità di risposte in termini psicosociali, che sono state rilevate e analizzate dal gruppo di ricerca Mutamenti Sociali, Valutazione e Metodi (MUSA) dell’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Irpps-CNR) nell’ambito dell’Osservatorio Mutamenti Sociali in Atto – COVID-19 (MSA-COVID-19) fin da marzo 2020, ossia in concomitanza con l’emanazione del primo decreto del Consiglio dei Ministri in materia di spostamento delle persone fisiche all’interno del territorio nazionale[1]. L’Osservatorio ha condotto più indagini nazionali, di cui la prima, svolta tra il 22 marzo e il 2 aprile del 2020, raccogliendo 140.656 interviste, è stata catalogata dall’Università di Greenwich come lo studio con il più ampio numero di intervistati al mondo nel campo delle ricerche “Non-pharmaceutical interventions” (NPIs) connesse al coronavirus[2]. Le indagini, condotte mediante complessi questionari elettronici e veicolate attraverso canali istituzionali e social (Twitter, LinkedIn, Facebook e Instagram), hanno analizzato gli effetti dell’improvvisa interruzione della prossimità fisica nelle reti sociali, parentali e amicali, gli effetti nell’interazione e nell’organizzazione in ambito lavorativo e le reazioni connesse all’intensificazione della prossimità tra soggetti conviventi nella stessa abitazione. Naturalmente, gli studi hanno tenuto in stretta considerazione gli aspetti economici della pandemia, e in particolare l’impatto sul tessuto economico dei decreti governativi, che hanno determinato la chiusura di imprese, l’attivazione della cassa integrazione per molti soggetti e comunque una diffusa incertezza reddituale che tutt’oggi coinvolge migliaia di lavoratori e lavoratrici.

L’analisi contestuale di variabili di tipo sociale e individuale ha dunque permesso di fare luce sulle reazioni della popolazione al cambiamento repentino di abitudini e stili di vita e sugli effetti dell’isolamento nelle proprie abitazioni, connesse con l’esterno quasi esclusivamente in modo virtuale. Uno dei temi più importanti che sono stati analizzati in considerazione della particolare situazione è stato quello delle emozioni primarie percepite. L’importanza di queste emozioni, innate e universali, è stata dimostrata da diversi studi, che hanno sottolineato la loro preponderante influenza sulle scelte e i comportamenti individuali[1]. A riguardo, è stata registrata l’intensità percepita delle emozioni primarie negative e positive, quali rabbia, disgusto, paura, ansia, tristezza, felicità e rilassamento, su una scala da 1 (bassa intensità) a 7 (alta intensità)[2]. Dall’analisi sulla relazione tra le emozioni primarie e le variabili strutturali disponibili sono emerse differenze di intensità emozionale percepite nelle diverse aree geografiche della nostra penisola. Nello specifico, i livelli più alti di rabbia, paura, tristezza e ansia sono stati rilevati nel Mezzogiorno, soprattutto tra la popolazione giovanile e le donne, e, al contrario, maggiore intensità di rilassamento e felicità è stata percepita nelle regioni del Nord, corrispondenti con le prime zone rosse e con i territori complessivamente più colpiti dal contagio (Fig. 1).


Le dinamiche economiche del periodo non sono state sufficienti a spiegare tale tendenza. L’esistenza di una forte correlazione tra la percezione dei rischi connessi alla dimensione lavorativa e l’acuirsi dell’intensità delle emozioni negative nelle regioni del Mezzogiorno è stata però smentita dall’analisi dei dati. Rispetto ai rischi causati dall’emergenza sanitaria in corso, dal punto di vista lavorativo, le risposte analizzate presentano un alto grado di omogeneità tra le aree geografiche del paese, fatta eccezione per il rischio di entrare in cassa integrazione, che è stato più basso nelle regioni del Sud d’Italia. Il rischio di gravi perdite economiche è stato paventato da circa 4 persone su 10, mentre la paura di perdere il lavoro ha riguardato circa il 13% dei rispondenti, e, in entrambi i casi, senza rilevanti differenze tra Nord, Centro e Sud Italia. La percezione dell’assenza di rischi per la propria attività lavorativa ha invece riguardato circa il 35% del campione, con il punteggio addirittura più alto nel Mezzogiorno (Fig. 2).

Le risposte alle variabili di tipo economico analizzate, dunque, non sono risultate sufficienti a spiegare il divario di emozioni percepite tra le macroaree del paese. Il gruppo di ricerca ha pertanto verificato una seconda ipotesi esplicativa, supportata da una letteratura afferente non solo alla sociologia ma anche alla psicologia di comunità, alla geografia umanistica e all’antropologia culturale. Si è quindi ipotizzata una stretta correlazione tra territorio, caratteristiche interazionali locali ed emozioni primarie. Laddove, seguendo un approccio più pragmatico e materialistico, la variabile economica è infatti risultata poco influente nel determinare alcune attitudini umane, è parso allora probabile che ciò che ha contribuito in modo rilevante alla produzione di emozioni negative nel corso del lockdown della primavera del 2020 siano, invece, stati fattori culturali di matrice relazionale, ossia una commistione di fattori identitari, personali e sociali. Tra le variabili analizzate in tal senso c’è la solitudine, provata dai rispondenti per effetto dell’interruzione delle relazioni sociali extradomestiche (Fig. 3). Le emozioni primarie negative sono risultate sempre superiori nel Mezzogiorno e così anche la solitudine; e questo, come anticipato, in presenza di minori rischi lavorativi ed economici percepiti rispetto alle aree centrali e nordiche del paese.

Per verificare la correlazione tra la presenza di emozioni primarie, positive e negative, e le altre caratteristiche degli intervistati, è stata successivamente applicata una tecnica di classificazione basata sugli alberi decisionali[1]. La classificazione è stata ottenuta scegliendo una variabile obiettivo, che nel nostro caso è quella che deriva dalla sintesi delle informazioni rilevate per le emozioni primarie, e quindi osservando i valori assunti in tutti i sotto-campioni intercettati dall’algoritmo e che si differenziano attraverso i valori di variabili indipendenti dette predittori. Questi ultimi, sono stati scelti tra le seguenti variabili: genere, area geografica, istruzione (livello medio-basso e alto), clima domestico (una sintesi, su una scala compresa tra valori positivi e negativi che variano da -6 a +6, delle variabili collaborazione, affetto e relazioni pacifiche in ambito domestico), classe di età (quattro classi di età: fino a 29, 30-49, 50-69, più di 70), genitorialità (non essere genitore, avere figli di età inferiore a 12 anni, avere figli di età superiore a 12 anni), rischi professionali dovuti all’emergenza sanitaria, fiducia sistemica (una variabile derivante dalla sintesi di 13 item con cui gli intervistati esprimevano il livello di fiducia verso istituzioni e organizzazioni pubbliche; valori elevati sono relativi ad alta fiducia nel sistema). I risultati che presenta l’albero decisionale sono molto interessanti perché, nonostante le numerose variabili utilizzate per la creazione del modello interpretativo, solo alcune di esse sono risultate cruciali nel prevedere gli indicatori delle emozioni primarie. La classificazione risultante dall’applicazione di questa tecnica rappresenta la suddivisione del campione intervistato in sottogruppi (detti nodi) a seconda del livello di emozioni provate e delle variabili caratteristiche che rappresentano i vari sottogruppi (variabili indipendenti) (Fig. 4). Al primo livello della suddivisione è stata evidenziata la ripartizione relativa alla variabile sulla localizzazione geografica proprio per avere un’immagine di confronto tra le aree geografiche rispetto alle variabili utilizzate nell’analisi.

Figura 4. Albero decisionale su emozioni primarie scaturite dal lockdown e alcune variabili predittive.

Fonte: Osservatorio MSA-COVID-19. CNR-IRPPS, 2020

Il ramo dell’albero che riguarda gli intervistati del Centro e del Nord d’Italia mostra una misura delle emozioni meno negative rispetto alla media generale (-2,86 contro -3,16 del campione totale) e presenta una prima suddivisione in due sottogruppi distinti per il genere. Le donne hanno valori medi di emozioni negative molto più alti rispetto agli uomini (rispettivamente -3,53 contro -2,28) e si suddividono in sottogruppi attraverso una variabile che rappresenta una dimensione individuale, cioè il clima domestico: chi vive una situazione difficile in casa presenta valori di emozioni più negative rispetto alle donne in generale o rispetto alle donne che riportano un’atmosfera familiare più positiva. Dal lato maschile, invece, la dimensione che regola la differenza nelle emozioni è di tipo collettivo in quanto è la preoccupazione per la precarietà lavorativa ad essere correlata con le emozioni più negative. Anche in questo caso, però, gli uomini hanno sempre valori meno negativi rispetto alle donne. Chi risiede nel Mezzogiorno d’Italia presenta valori medi generali delle emozioni più negativi rispetto alla media generale (rispettivamente -3,63 contro -3,16). Al Sud la prima suddivisione è ancora per genere: le donne presentano valori di emozioni più negativi rispetto agli uomini e anche rispetto alle donne del Nord e del Centro (il valore medio delle donne del Sud è -4,36), e questo vale anche per gli uomini del Sud, che, pur avendo un valore più alto rispetto alle conterranee, presentano valori medi di emozioni più elevati rispetto agli uomini residenti negli altri contesti geografici nazionali (il valore medio degli uomini del Sud è -2,97). Anche in questo caso la differenza sostanziale per le donne è determinata dalla dimensione individuale rappresentata dal clima domestico che acuisce le emozioni negative quando ha valori più bassi. Per gli uomini è ancora il fattore collettivo rappresentato dalla preoccupazione per i rischi lavorativi ad essere correlato con la presenza di emozioni più negative. Non è però il solo valore della variabile obiettivo e delle variabili indipendenti che è importante segnalare in questa descrizione. Va notato anche il numero di individui che è rappresentato in ogni nodo. In effetti, pur avendo riscontrato una correlazione tra rischio per il lavoro ed intensificarsi della negatività delle emozioni, bisogna rimarcare che questo fenomeno è relativo ad una quota molto ristretta del campione soprattutto al Sud (12,7% al Centro-Nord e 7,1% nel Mezzogiorno). In altri termini, se pure esiste una relazione tra rischi economici e presenza di emozioni negative – un fatto, come anticipato, atteso soprattutto in condizioni di precarietà lavorativa -, è anche vero che questa dinamica non è la più comune perché riguarda una piccola parte degli individui.

Questo studio ha dimostrato che, durante il lockdown della primavera del 2020, la localizzazione geografica ha inciso sui livelli delle emozioni primarie percepite per effetto del clima domestico e dunque dell’interazione tra conviventi in assenza di interazioni esterne e in particolare in concomitanza con l’interruzione dei flussi fisici delle reti amicali, parentali e di vicinato, che sappiamo essere ancora oggi molto importanti e di supporto anche di tipo assistenziale nel Sud d’Italia. I risultati hanno inoltre evidenziato le donne come principali vittime del clima familiare. Diversamente, seppur a fronte di livelli di emozioni primarie negativi sempre inferiori alle donne, sono prevalentemente gli uomini a richiamare i rischi lavorativi come fattore perturbativo a livello individuale. Queste correlazioni sono però in linea con il più classico degli stereotipi di genere, che vuole la donna come angelo del focolare domestico e l’uomo procacciatore di reddito. Pur dovendo specificare che i nostri dati dimostrano la presenza di sacche di particolare criticità solo in ristretti gruppi di popolazione, ciò non deve indurre a sottovalutare ogni situazione di disagio sociale. Questo, anzi, appare come il momento di prevedere un’osservazione, continua e puntuale, dei fenomeni più allarmanti di devianza e violenza sociale, tenendo certamente conto delle differenziazioni anche di tipo geografico.

Per approfondimenti:

https://www.irpps.cnr.it/musa/msa-covid19/

[1] Kotu V., Deshpande B. (2019). Data Science. Concepts and Practice, Morgan Kaufmann, Burlington ma, 2019, 2nd ed.

[1] Ekman P. (1994). The nature of emotion, Oxford University Press, New York.

[2] Cerbara, L., Ciancimino, G., Crescimbene, M., La Longa, F., Parsi, MR., Tintori, A., Palomba, R.

(2020) A nation-wide survey on emotional and psychological impacts of COVID-19 social distancing. European Review for Medical and Pharmacological Sciences. Vol. 24 – N. 12, 7155-7163, https://10.26355/eurrev_202006_21711.


[1] DECRETO-LEGGE 8 marzo 2020, n. 11. Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria (20G00029) (GU Serie Generale n.60 del 08-03-2020).

[2] Perra N. (2021). Non-pharmaceutical interventions during the COVID-19 pandemic: A review. Phys Rep. doi: 10.1016/j.physrep.2021.02.001.